Il 9 giugno la sentenza della Corte d’appello di Perugia
Ieri come da programma si è tenuta l’udienza per le presunte irregolarità compiute nell’espulsione dall’Italia di Alma Shalabayeva e della figlia Alua, verso il Kazakhstan, avvenuta nel 2013
La sentenza della Corte d’appello di Perugia è stata decisa per il 9 giugno prossimo.
Nell’udienza precedente si erano svolte le arringhe dei difensori dei sette imputati,per le presunte irregolarità legate al rimpatrio di Alma Shalabayeva, moglie del dissidente kazako Mukhtar Ablyazov .
Sono stati tutti condannati in primo grado: gli ex capi della squadra mobile e dell’ufficio immigrazione della questura di Roma, Renato Cortese ex questore di Palermo Renato Cortese (l’uomo che catturò il boss della mafia Bernardo Provenzano) e Maurizio Improta, ex capo dell’ufficio immigrazione e ed ex vertice della Polfer. I rispettivi legali avevano chiesto l’assoluzione dei loro assistiti.
Nell’udienza del 14 ottobre del 2020, Cortese, Improta, e i due poliziotti Francesco Stampacchia, Luca Armeni erano stati condannati a una pena di cinque anni di reclusione e all’interdizione perpetua dei pubblici uffici, il giudice di pace Stefania Lavore a due anni e sei mesi e gli altri poliziotti, Stefano Leoni a tre anni e sei mesi di reclusione mentre Vincenzo Tramma a quattro anni.
Alla vigilia del processo del 17 Gennaio di quest’anno tenutosi presso il tribunale di Perugia Alma Shalabayeva aveva affermato “Io e mia figlia abbiamo vissuto per quasi quattro giorni l’incubo di un arresto e la violenza della deportazione in un Paese la cui brutalità dittatoriale è stata appena ricordata al mondo intero” ed aveva aggiunto “Al momento del mio rapimento nel maggio 2013, mio marito era un rifugiato politico in Inghilterra. Questo è indiscutibile” e parlando con un giornalista dell’Ansa aggiunse “Non è mio marito ad essere al centro di questo processo, ma io e mia figlia”
Secondo quando venne riportato dal terzo collegio,nell’udienza del 2020, presieduto da Giuseppe Narducci, nella motivazioni della sentenza di primo grado venne affermata la testi di ”rapimento di Stato” “L’espulsione e il trattenimento di Alma Shalabayeva rappresentano un unicum nella storia giudiziaria italiana – scriveva il giudice motivando le condanne – nella quale il collegio non rintraccia né elementi di ordinarietà né di approccio burocratico, ma, al contrario individua chiari segnali di eccezionalità e di straordinario accanimento persecutorio. In definitiva, secondo un’appropriata definizione di commento a questa storia, avvenne,un rapimento di Stato ”