E le tante notizie recenti di innocenza tradita
di Adriano Marinensi
Alla stessa età del padre Enzo – 59 anni – è morta, di recente, Silvia Tortora, la giornalista che ha combattuto perché non venisse dimenticata la triste avventura del famoso genitore, finito (e stritolato) negli ingranaggi di un episodio di innocenza tradita. Silvia, la figlia alla quale Enzo ha inviato le Lettere dal carcere, che sono andato a rileggere con commozione. Quasi 40 anni trascorsi dall’affare Tortora e quindi oggi in tanti non conoscono i fatti (osceni) che irruppero nelle cronache quotidiane. Forse dell’argomento ho già scritto, ma, almeno per i nati nell’ultimo mezzo secolo, giova rifarne memoria, tanta fu l’aggressione alla libertà, compiuta a norma di legge. Cantonate, questa come altre,che hanno afflitto un gran numero di innocenti.
In un Paese, dove la democrazia può dirsi realizzata, è il sistema giudiziario che ha il dovere di difendere i cittadini dalle iniquità. Se invece – come accade in Italia – è necessario promuovere Associazioni (quella ideata dal Sen. PD Luciano D’Alfonso) per proteggere i cittadini dagli assalti anomali delle Istituzioni giudiziarie diventate potere, allora vuol dire che la democrazia è un’anatra zoppa. Il Presidente Mattarella, un richiamo rilevante lo ha rivolto al Parlamento perché realizzi la piena riforma della Giustizia che sta tra le “vincolate” alla concessione dei finanziamenti europei. Le statistiche ci dicono che – in Italia – la metà degli accusati viene assolta in Tribunale. Un allarme rosso. In parte determinato dalla “occasionale” applicazione dell’art. 358 C.P.P. che fa obbligo al P.M. di svolgere “accertamenti a favore della persona sottoposta ad indagini”.
Intorno all’ argomento, assai spinoso, del chi sbaglia paga e chi no, è ripreso il confronto tra addetti ai lavori che hanno rilanciato la proposta di riduzione delle salvaguardie in contrasto con il rispetto dei valori garantiti dalla Costituzione. L’esempio è di pochi giorni orsono (7.1.2022) e riguarda un politico scagionato dalle accuse “dopo 12 anni di calvario”, ha detto lui. Si chiama Raffaele Lombardo: Era Governatore della Regione Sicilia, quando fu imputato dalla Procura di concorso esterno in associazione mafiosa, favori elettorali dalle cosche e assolto in Corte d’Appello, al termine di un iter processuale contorto e umiliante. Umiliante pure per le Istituzioni.
Altra Corte d’Appello ha assolto – il 24 gennaio 2022 – per non aver commesso il fatto, l’infermiera di Piombino (l’angelo della morte) condannata all’ergastolo in prima istanza. Il “fatto” per il quale le era stata tolta la libertà, riguardava la morte di alcuni pazienti nell’ospedale dove era in servizio. Dal fine pena mai alla assoluzione, il passo è stato lungo 6 anni. E 12 il procedimento a Claudio Briatore, assolto, pure giorni fa, perché il fatto non costituisce reato dall’accusa di frode fiscale. La “persecuzione” – Briatore l’ha definita così – è Iniziata nel 2010, con l’arrembaggio delle forze dell’ordine al suo yacht in alto mare. Un abuso di carcerazione preventiva è emerso in questi giorni: si riferisce all’Avv. ed ex Sen. Giancarlo Pittelli, da un anno e mezzo detenuto senza sentenza di condanna. Anche la sua una battaglia per la libertà.
Ancora di storia ce n’è che compie, giusti, giusti, 30 anni: l’inchiesta spettacolo di mani pulite. E’ iniziata il 17 febbraio 1992, con l’arresto di Mario Chiesa, ì’ esponente socialista pescato con una bustarella in mano. Dette principio alla vicissitudine di tangentopoli, operazione di nettezza politica che si perse in un eccesso di potestà giudiziaria, costellato di interventi a gamba tesa e dal tintinnio delle manette che ne offuscarono gli obiettivi. L’attuale Garante nazionale delle persone private della libertà ha lanciato un J’accuse che testimonia la scarsa umanità del sistema penitenziario italiano: durante i primi 24 giorni di gennaio 2022, c’è stato un suicidio ogni tre giorni. Di sicuro, il metodo della carcerazione facile abbisogna di una severa revisione.
Enzo Tortora, durante gli anni ’70 del secolo scorso, fu uno dei volti più noti della TV italiana. Campione nell’uso pacato ed elegante della parola (il contrario positivo degli invadenti, logorroici urlatori moderni), il garbo della voce da fine dicitore, faceva ascolti straordinari. Il 17 giugno 1983, d’improvviso, alle ore 4 del mattino, come è d’uso assicurare alle patrie prigioni i criminali pericolosi, Tortora venne tratto in arresto. Ed esibito, le manette ai polsi, in mezzo a due di quelli vestiti uguali. Era finito in una inchiesta gigante per traffico di stupefacenti e associazione di stampo camorristico. Per chi cercava la notorietà, un boccone succulento.
Furono emessi, in contemporanea, 856 ordini di cattura, in 38 province, da Bolzano a Palermo e in Sardegna, con l’impiego di quasi 10.000 uomini delle forze dell’ordine. Il pandemonio sulla base di un fascicolo d’indagine composto da 3.800 pagine, definito, con un po’ d’ironia, la Treccani della camorra. Non poche di quelle pagine riguardarono il caso Tortora, scritte dando credito alle (false) accuse di alcuni avanzi di galera, senza badare troppo ai doverosi riscontri. Cosicché, il protagonista della trasmissione Portobello, all’alba di quel giorno 17, era di venerdì, comparve alla berlina sulla porta di un albergo romano, tra gli scatti forsennati dei fotografi, previamente avvertiti. Secondo gli inquirenti era un trafficante di droga negli ambienti dello spettacolo. La notizia, si capisce, fece il giro delle principali redazioni di giornali e TV.
Trascorse 270 giorni di carcerazione preventiva, una tragedia umana simile a quella di Alberto Sordi nel film di Nanni Loy, Detenuto in attesa di giudizio, trasposizione modernizzata della “Colonna infame” di Alessandro Manzoni. Al processo di prima istanza, Tortora fu definito dal P.G. cinico mercante di morte e condannato, in nome del popolo italiano, a 10 anni di reclusione. Il popolo italiano vero, lo elesse al Parlamento Europeo, con oltre 400.000 voti di preferenza. Alla fine della fiera delle fandonie, Enzo Tortora – in Corte d’Appello e in Cassazione – venne assolto, dopo quattro anni di sofferenze, essendo risultato estraneo ai fatti dei quali era stato incolpato.
Il 28 febbraio 1987, tornò in T.V. con la famosa frase: Dunque, dove eravamo rimasti? Ma ormai le pene carcerarie lo avevano fiaccato nel fisico e nel morale. E lo uccisero il 10 maggio 1988. Nell’immaginario collettivo, resta il portabandiera degli innocenti, perseguitati senza ragione. E’ utile il richiamo per continuare a riflettere sul perché neppure tali “inciampi” troppo poco abbiano prodotto in termini di reale mutamento dei metodi giudiziari. Non basta, all’esame, conoscere a memoria i codici: occorrono molte altre dori per essere un buon Magistrato. E guai a quell’Italia che dovesse scrivere, seppure una volta sola, la parola Giustizia con l’iniziale minuscola.