E il ricordo doveroso di alcuni campioni sportivi umbri del passato

di Adriano Marinensi

L’interrogativo, un po’ bizzarro, è questo: Un fenomeno naturale (le onde del mare) può essere protetto a norma di legge? La risposta la dà una sconosciuta città brasiliana che si chiama Linhares e si trova a nord di Rio de Janeiro. Leggiamola insieme: Per la prima volta nel divenire dell’umanità, una piccola parte dell’Oceano Atlantico, di fronte alla foce del Rio Doce, le onde che in quel sito si sviluppano, le hanno riconosciute “soggetto di diritto” per la gioia di un gran numero di surfisti. Ora, fruiscono di tutela legale e del “guardiano” che, unitamente ad un membro del Consiglio comunale, le può difendere dalle aggressioni. Hanno acquisito “potere di esistere”.

Sembra la proverbiale “americanata”, invece si tratta di informazione diffusa in forma seria ed ufficiale. E non si può sostenere che i promotori dell’iniziativa siano amici dell’acqua. Da quelle parti, qualche anno fa infatti, la rottura di una diga provocò un’apocalisse ed un disastro ambientale di enormi dimensioni.

E’ un passo avanti – consideratelo simbolico se volete – per affermare la “personalità giuridica della natura” e dare garanzia circa l’integrità delle risorse ad essa legate. C’è addirittura un altro Paese- l’Ecuador – che alcuni “diritti del creato” li ha inseriti nella Costituzione.

Noi umbri non abbiamo il mare e neppure le onde da salvaguardare. Prendiamo ad esempio gli alberi e i boschi: sono presidi per la sopravvivenza dell’intero Pianeta. Meritano dunque rispetto assoluto. Quindi, prima di tagliare una “essenza arborea”, come la chiamano i botanici, dovremmo sentirci in dovere di riflettere e magari indagare per trovare la soluzione al fine di salvarle la vita.

Proseguendo per esempi, Terni era città che vantava un buon patrimonio di pini diffusi sul territorio che, se fossero stati posti tutti insieme, avrebbero costituito una lussureggiante pineta. E proprio di una pineta “adulta” la città così com’è mostra di aver bisogno per dare ossigeno all’atmosfera, in taluni giorni, quasi irrespirabile.

Ragion per cui, invece del taglialegna, molto utile sarebbe stata una ORDINANZA (siccome importante, l’ho scritta in maiuscolo) al nobile scopo di sanzionare – fosse un cittadino oppure un pubblico amministratore – il “titolare” della motosega. Come hanno fatto per le onde a Linhares. A Terni, possedevamo tanti alberi d’alto fusto con utili chiome verdi a fare ombra, e invece di dar loro “personalità giuridica”, li abbiamo mandati al rogo. Consiglio modesto rivolto ai responsabili locali della tutela ambientale: Andatevi a rileggere l’illuminante saggio scritto da Christopher Stone, intitolato: Gli alberi possono avere diritti?

L’Umbria, lo sport e i suoi campioni d’un tempo lontano

Sin qui sono stato sul palo, ora consentitemi di saltare sulla frasca (il narrare, appunto, saltando di palo in frasca). Seguendo lo svolgersi delle recenti Olimpiadi di Parigi, ho spostato la mente su quelle “giocate” a Londra (perciò, dalla Senna al Tamigi) nel 1948, quando il mondo sentiva ancora l’eco lontana delle armi. Dalle nostre parti, l’eco delle bombe e la vista delle macerie sparse ovunque. A Terni erano nati due campioni nell’anteguerra. Uno correva in sella alla moto – Libero Liberati, classe 1926 – e, nel 1957, divenne Campione del mondo della massima cilindrata.

L’altro si chiamava Renato Perona, classe 1927, corridore ciclista che, alle Olimpiadi di Londra (1948) vinse la medaglia d’oro nella specialità del tandem, su pista, in coppia con Nando Teruzzi, seigiornista di valore. Liberati fu mio Amico e, quando ne sento parlare, mi riaffiorano tanti ricordi. Non ho invece conosciuto Renato Perona, però, il sontuoso “cartellone” sportivo di Parigi 2024 ha riportato la mia penna a quasi 80 anni fa. Di Renato, ho conosciuto il fratello, Francesco. Faceva parte della squadra ciclistica (insieme a Tonino Feroci di Papigno e Sandro Martellotti di Narni) del Gruppo sportivo Campomicciolo del quale fui segretario.

Dunque, Renato Perona divenne campione olimpico, medaglia d’oro, specialità tandem, quella strana bicicletta da competizione, con due ruote, quattro pedali e due atleti sopra, uno alla guida, l’altro abbarbicato al manubrio fisso retrostante; entrambi a pigiare dannatamente anche se il principale “motore di spinta” era il secondo. Davanti la strategia, dietro la gagliardia. La coppia Teruzzi – Perona prese parte all’Olimpiade senza i favori del pronostico. Nando Teruzzi faceva le “sei giorni”, una competizione famosa e spettacolare all’epoca, sui principali velodromi mondiali. E’ lì che fece la sua fortuna, mentre la sorte sportiva non si mostrò altrettanto benigna con Perona.

Si erano già esibiti con successo sulle piste italiane, ma i Giochi, si sa, mettono in competizione i migliori atleti del mondo. A quel tempo poi, i mostri sacri del tandem erano due inglesi, Harris – Bannister e avevano dalla loro parte il tifo degli spettatori di casa. In finale, a sorpresa, si giocò Inghilterra – Italia, tre prove su tre giri ciascuna. Gli inglesi vinsero la prima manche e figurarsi il pubblico. Occorreva che Teruzzi, oltre a spingere sui pedali, desse fondo alle astuzie dell’esperienza e il ventenne Perona, come si usava dire, piegasse le pedivelle. Con la seconda volata fecero pari. La medaglia di maggior prestigio era appesa al filo della “bella”. Il tandem italiano, con una volata tutta di potenza e mestiere, fece il miracolo al terzo sprint.

Terni accolse con affetto il suo campione, mentre l’altro (Liberati) cominciava a mostrare, sulle strade di allora, senza salvifiche “vie di fuga” (in curva c’erano le balle di paglia) la sua classe. Nei primi anni ’50 del ‘900, Terni mise in mostra pure altri campioni. Nella lotta, Umberto Trippa (tre p0artecipazioni), poi Adalberto Lepri (prima pure l’olimpionico di Berlino 1936, Alberto Molfino) e nell’atletica, il velocista, mio compagno di liceo, Wolfango Montanari, vincitore dei Giochi del Mediterraneo. Le gesta di quegli umbri restano nel libro d’oro dello sport e meritano il dovere della rimembranza. Soprattutto perché compiute (le imprese) in un periodo di vita non facile. I licenziamenti di massa alla “Soc. Terni” (1952 – 53) furono causa di pesante dissesto morale ed economico. In aggiunta ai disagi drammatici della guerra finita da poco.

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