Il passaggio dallo Stato della Chiesa al Regno sabaudo

di Adriano Marinensi

Dario Ottaviani è stato un ottimo studioso della storia locale. Ha pubblicato volumi da enciclopedia, recuperando fatti ed eventi sconosciuti alla gran parte dell’opinione pubblica. Nel suo libro L’ottocento a Terni, descrive cosa accadde nella Provincia dell’Umbria, intorno al 1860, quando il territorio che, da secoli faceva parte, anche per usi e costumi, dello Stato Pontificio, divenne parte del Regno d’Italia che stava nascendo. Il racconto di Ottaviani è puntuale e ricco di avvenimenti di rilievo che vale la pena riassumere.

Giuseppe Garibaldi aveva da poco compiuto l’impresa dei Mille (maggio – ottobre 1860) con l’annessione del Regno delle Due Sicilie, liberato dai Borboni. E cominciava ad organizzare la sua “marcia su Roma” che, a giudizio della monarchia sabauda, avrebbe portato scompiglio nelle relazioni internazionali: in particolare una turbativa nella condizione di “quieto vivere” con il pericoloso Napoleone III. Si mossero allora le truppe piemontesi per evitare ulteriori colpi di mano dei garibaldini.

Scrive Ottaviani: I ternani, favorevoli all’annessione, si organizzarono in un Comitato di sostegno ed una Guardia civica liberale, due “soggetti nuovi” composti da autorevoli personaggi cittadini. Il Governatore Pontificio aveva già lasciato Terni, quando – settembre 1860 – le truppe piemontesi giunsero in città, dopo aver occupato Spoleto. Sappiamo – prosegue Ottaviani – che, in quasi tutte le finestre, fu esposto il tricolore e distribuite migliaia di coccarde. La folla andò incontro ai bersaglieri comandati dal generale Filippo Brignone, al quale, più tardi, venne intitolata la Caserma di Porta Valnerina.

La sera del 20 settembre, nella Piazza Maggiore di Terni, illuminata in segno di giubilo, la Fanfara intonò inni patriottici, mentre alcuni palazzi verso il Duomo, restarono chiusi e sbarrati in segno di ostilità. Ed elenca l’autore i quattro Monasteri e i 5 Conventi, all’epoca esistenti a Terni e dove presumibilmente non ci fu allegria per questa uscita dalla giurisdizione papalina. Nel 1864, Napoleone III concesse i brevetti a tre ternani che avevano combattuto nella Grande Armata di Napoleone I.

Le truppe regie invasero Marche e Umbria, passando accanto a Roma senza toccarla come era stato garantito alla Francia. I volontari espugnarono la Rocca di Narni, difesa dai fedeli al Papa. Si andava avanti rapidamente sulla strada dell’unità territoriale, quando il solito Napoleone III avvertì che, se aveva consentito l’avanzata su Umbria e Marche, non avrebbe tollerato ulteriori occupazioni di luoghi appartenenti alla Santa Sede.

La nostra regione assunse il ruolo di confine tra il Regno d’Italia e lo Stato Pontificio; il Governo di Torino, per accattivarsi ulteriormente la simpatia dei francesi, nominò Commissario per l’Umbria il marchese Gioacchino Pepoli, legato da vincoli di parentela all’Imperatore. Tra le sue prime decisioni ci fu l’abolizione delle disposizioni pontificie riguardanti la vita civile, militare e amministrativa. Venne disciolta la vecchia Magistratura della quale facevano parte rappresentanti di famiglie storiche come Colonnesi, Graziani, Setacci e Possenti.

Ottaviani scrive: Gioacchino Pepoli attuò una serie di riforme determinanti per il futuro industriale della città. Nacque, nel 1860, l’Istituto Tecnico che, all’inizio ebbe scarsa fortuna: la Terni contadina non poteva permettersi di sottrarre braccia giovani ai lavori agricoli. Altre scuole per il popolo non c’erano, salvo il Seminario vescovile riservato prevalentemente alla formazione del clero.

Sul piano politico, non brillava la classe dirigente borghese in grado di dirigere, in maniera progressista, la comunità locale. Ottaviani cita un Manassei cattolico moderato ed un Faustini mazziniano. La loro opera però fu ostacolata dalla nobiltà da tempo devota a Pio IX e, dopo il 1860, ossequiosa alla nuova autorità. Permanevano sentimenti di sudditanza che avevano fatto sorgere avversioni nei confronti del rinnovamento. Tanto che il Pepoli scrisse a Cavour: La misura proposta verso i Conventi può generare grave malcontento e la moderazione verso i Preti gioverà a noi più che la violenza.

In Umbria, nella consultazione popolare per l’annessione alla Monarchia sabauda, ci furono meno di 400 NO su oltre 97.000 votanti. A Terni, dissero SI 3.461 elettori su 3.462: un solo NO. La Giunta comunale, nel gennaio 1861, emise la seguente delibera: “La Provincia dell’Umbria fa parte integrante dello Stato italiano. Sua Maestà Vittorio Emanuele II ci ha posti sotto la tutela del Suo Trono costituzionale e possiamo dirci liberi cittadini di una Grande Nazione. Salutiamo questo bel giorno che segna un’era nuova per noi”. E, appena alcuni mesi dopo, un altisonante proclama che cominciava così: “Ora fa un anno, la nostra Armata bella dei recenti lauri di Castelfidardo entrava festante e Voi festanti l’accoglievate nelle patrie mura. Voi faceste plauso agli Eroi di Palestro, di Montebello, di S. Martino che, con lavacri di sangue, cancellarono l’orme dell’antico servaggio”.

Alle prime elezioni dell’Italia unita, che si svolsero il 27 gennaio 1861, il toscano Luigi Silvestrini fu Deputato di Terni, eletto con 205 voti su 528 dell’intera popolazione. Il 13 febbraio 1861, Cavour, nel Parlamento subalpino in Torino, fece solennemente proclamare il Regno d’Italia con capitale Roma, anche se Roma rimaneva dominio temporale del Papa e Venezia agli austriaci.

Per quanto riguarda la situazione economica ternana, erano presenti soprattutto piccole aziende per la conservazione e lavorazione di prodotti agricoli e zootecnici (filande, tessiture, conce per pelli, lanifici). Era attiva – specifica Ottaviani – l’antica ferriera pontificia di Ponte del Sesto, fondata da Marcello Sciamanna e Paolo Gazzoli, nel 1794. Va ricordata l’azienda Bizzoni per la lavorazione del legno; era alimentata da una turbina che serviva pure per fabbricare fiammiferi.

La transizione fu un processo quasi naturale che, nel tessuto sociale e culturale esistente a Terni in quegli anni, produsse anche difficoltà e scompensi, presto però risanati da un assetto politico – amministrativo costruito all’insegna del sentimento di unità nazionale.

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