Il soggiorno nell’oasi prossima al carducciano “Viale dei cipressi”

di AMAR

Per sfuggire alla torrida estate ternana (il fiato del drago), sono stato a trascorrerne una parte nello stesso luogo dell’anno passato. Stessa spiaggia, stesso mare. Tutto uguale, tranne il soprascritto: per deambulare, mi sono abbastonato (munito di bastone da passeggio). Uguale “oasi naturale” ho trovato. Chi dovese venire dal mare, camminando miracolosamente sulle onde, come nel lago di Tiberiade, troverebbe una vasta spiaggia sabbiosa, poi la verdeggiante pineta larga un centinaio di metri e lunga mezza dozzina di chilometri, che corre parallela alla linea d’acqua.

Quindi, ecco l’enorme prato verde (immaginate il terreno di gioco di alcuni stadi di calcio messi insieme), periodicamente rasato, irrigato e interdetto ai motori a scoppio: per i motorizzati ci sono i parcheggi di attestamento. Lungo la fitta miriade di vialetti al servizio dell’abitato (come al solito, i cultori del cemento armato hanno esagerato nell’edificare: poco stile e scarsa funzionalità), si può transitare soltanto a piedi, in bicicletta, in carrozzella con il bambino a bordo. Pini giganti a centinaia, la chioma folta, verde e ombreggiante.

Milioni di oleandri verdi in fiore, rosa, bianchi, rossi, viola, un arcobaleno che “illumina” il paesaggio. Tante le piscine con l’acqua che sembra pur’ essa verde, parimenti al largomare. Da quelle parti, il verde è un colore quasi ipnotico, in contraddizione con le regole della moderna organizzazione urbanistica. Non è ch’io voglia archiviare il mondo come fosse un’opera lirica dove – si usa dire – “ogni dramma è un falso”. Scrivo soltanto che in quel luogo si nota una sorta di intersezione tra lo spazio e il tempo che realizza l’ambiente vicino all’uomo.

A fare da arredo, chilometri di siepi di pitosforo, il sempreverde intricato. Siepi squadrate ad arte dai giardinieri: sostituiscono le reti metalliche divisorie tra un giardino e l’altro. Insomma, ovunque il guardo giro, il verde vedo. Nessuno scosceso, tutto un biliardo. E se ci vai quando l’orda d’agosto non è ancora arrivata, trovi molte ore di quiete e magari l’opportunità del silenzio arricchito dalla fresca brezza che il mare mosso spinge dal pelago alla riva.

Simpatica la coppia di merli con un figlio un poco ozioso a carico. Perché, grande e grosso com’era, si faceva imbeccare dalla mamma merla. Avevano eletto il giardino di casa a loro dimora. Si avventuravano, senza timore, fin sotto la veranda per mangiare i semi sparsi sul pavimento.

Ho frequentato poche volte l’arenile premiato con la bandiera blu. Non sono attratto dal chiacchiericcio da ombrellone che somiglia, per inutilità, a quello petulante dei telecronisti sportivi, intenti spesso a raccontare il nulla, con un fiume di parole.

Molto interesse balneare ho captato per l’intitolazione dell’aeroporto milanese di Malpensa a Silvio Berlusconi. Il battibecco plurimo riguardava l’opinione espressa dalla lettrice di un importante settimanale. Si è intestata la seguente argomentazione: In Italia, sono stati dedicati scali aerei a Leonardo da Vinci, Raffaello, Verdi, Marco Polo, Falcone e Borsellino ed altri. Ergo, anche un tale grande milanese (il Silvione nazionale, inventore del bunga, bunga, n. d. a.) meritava lo stesso onore.

Di loro e degli altri (Leonardo, Raffaello, Verdi, Falcone e Borsellino ecc. ecc.) sono andato a ripassare la storia. Nessuno è risultato condannato per frode fiscale, accusato di corruzione in atti giudiziari, tenutario di harem goderecci, organizzatore di “cene eleganti” con la partecipazione straordinaria di fanciulline vestite soltanto (sic!) del camice bianco da infermiere. Nessun “miscuglio” – per Leonardo e gli altri – tra gli affari propri e quelli del Governo. Per i suddetti italiani celebri, il diritto di avere il proprio nome sulla facciata di un aeroporto è derivato da diversa meritocrazia.

Ho scoperto che l’arenile è un palcoscenico ricco di personaggi eclettici e talvolta suggestivi. I cosiddetti tipi da spiaggia. C’’è il tale dal portamento severo (forse ragioniere capo del Genio civile), munito di secchiello e paletta, intento a costruire castelli di sabbia per il nipotino. Poco oltre, la bionda maliarda – sdraiata a pancia sotto, sopra il lettino – particolarmente adocchiata per il suo tanga estremo (il costume poco costumato che lascia scoperto il fondo schiena).

E ancora il babbo atletico che trascina per i piedi il pargolo, al fine di costruire l’autodromo in miniatura destinato al gioco delle palline di plastica. Ozio assoluto per tutti tranne per i “vu cumprà”, che vanno avanti e indietro sotto il sole (tra l’indifferenza e l’insofferenza dei bagnanti) carichi di beni di terza e quarta necessita, difficili da vendere.

Concludo: Ho soggiornato nei paraggi de “i cipressi che a Bolgheri, alti e schietti, van da S Guido in duplice filar” (Davanti San Guido). E talvolta – forse con le ali del pensiero e gli occhi della fantasia – ho visto “stormi d’uccelli neri, com’esuli pensieri, nel vespero migrar” (San Martino).

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