Furono 560 le vittime, tra le quali 130 minori, della furia nazifascista

di Adriano Marinensi

Alcuni giorni fa, il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha pronunciato parole solenni per ricordare un fatto selvaggio accaduto, or sono 80 anni, in Italia, durante la II guerra mondiale. Ha detto, tra l’altro; “Il baratro nel quale allora sprofondò l’umanità ha reso questi luoghi un sacrario europeo del dolore e un simbolo di riscatto della rinascita civile che ha saputo opporsi alla barbarie, generando democrazia, libertà, pace, laddove si voleva cancellare ogni speranza”. Gli italiani non debbono scordare i vituperi che, in più parti, hanno straziato la cultura democratica in quegli anni perversi.

Questi luoghi, indicati da Mattarella, furono teatro di una tragedia immane, la pagina nera scritta dai nazifascisti a danno di una popolazione pacifica e inerme, abitante la frazione di Sant’Anna del Comune di Stazzema, in provincia di Lucca, nella parte della Toscana che, dalla sommità delle Apuane guarda la Versilia e il mare; oggi sta nel centro del Parco Nazionale della Pace. Un borgo di poche anime reso più numeroso dall’alto numeri di sfollati che, a Sant’Anna, si sentivano fuori dai pericoli della guerra.

In questi luoghi, ancora le pietre parlano di quanto accadde il 12 agosto 1944. L’alba era serena come l’esistenza dei contadini che vivevano sui colli “rubando” terra al bosco per seminare il grano. Un campare da perenni precari, soprattutto quando le stagioni si mostravano avversi. Comunità pacifica e laboriosa che vide l’alba serena trasformarsi in livida e terrea, quando il silenzio fu squarciato dalle urla di un’orda di uomini armati. Giunsero i nazisti impegnati in una azione terroristica premeditata (non di rappresaglia), avente come obiettivo di rompere ogni presunto collegamento tra le popolazioni e le formazioni partigiane. Non attraverso azioni di guerra, ma eseguendo atti di sterminio e distruzioni. La tecnica dell’infamia usata ripetutamente durante il periodo di occupazione tedesca in Italia.

Il fronte di Cassino era crollato nel marzo del ’44 e le truppe naziste erano finite sotto la pressione degli Alleati anglo – americani, in una condizione di insicurezza che le rendeva particolarmente aggressive. Arretrarono sino alla Linea Gotica, sull’Appennino tosco – emiliano (da Massa Carrara a Pesaro), sotto l’ulteriore minaccia della lotta partigiana. Avevano abbandonato Roma il 4 giugno, dopo 10 mesi di pesante presidio, in contravvenzione al solito ordine emanato da Hitler di “mantenere le posizioni ad ogni costo”.

L’eccidio di Sant’Anna di Stazzema fu soltanto vile oltraggio a qualsiasi dignità, anche animale, e così efferato da causare 560 morti, tra i quali 130 minori. Il più giovane aveva 20 giorni. Il curatore del Museo della Resistenza aveva dieci anni e ricorda di aver assistito all’assassinio di sua madre incinta di 4 mesi e delle due sorelle più piccole. Uccisero una donna in procinto di partorire, la madre che aveva lanciato uno zoccolo contro il carnefice per difendere il figlio, uccisero il Prete che implorava misericordia per i propri parrocchiani. Uccisero ovunque e chiunque ed alla fine dello scempio, bruciarono i corpi, le case, le stalle, gli animali.

Non uccisero il senso di umanità, perché era già morto da tempo dentro sé stessi, nella loro ideologia. La grande eredità morale lasciata dai sopravvissuti – è ancora il pensiero di Mattarella – deve rimanere in perpetuo nella memoria delle future generazioni. Esempio simbolico, la famiglia di Antonio Pucci, Ufficiale della Marina militare in servizio a Livorno. Originario di Foligno, aveva portato i suoi cari a Sant’Anna per metterli al sicuro. Gli uccisero i figli di età inferiore a 15 anni. Tentò di suicidarsi tra le macerie ancora fumanti e dovettero fermarlo con la forza.

La storia di Sant’Anna si lega anche al famigerato armadio della vergogna, scoperto (1994) nei locali della Procura militare di Roma con dentro quasi 700 fascicoli d’accusa per altrettanti ufficiali e soldati tedeschi, imputati di atti criminali. Alcuni fascicoli servirono ad istruire il processo che condannò all’ergastolo dieci degli autori dell’eccidio in questione. La sentenza, confermata dalla Cassazione italiana, non fu ritenuta valida dalla Procura tedesca di Stoccarda.

Tra le tante malvagità naziste, il Presidente Mattarella ha richiamato Marzabotto (Emilia Romagna) e le comunità vicine, dove – nel tragico autunno del ’44 – persero la vita, per mano delle S. S. di Walter Reder, 1.676 innocenti. Sopra una lapide di rimembranza sta scritto: “La nostra pietà per loro significa che tutti gli uomini e le donne sappiano vigilare perché il nazifascismo non risorga”. Leggendo quella epigrafe, dovrebbero riflettere coloro i quali, ancora oggi, mostrano vicinanza ad ideologie che la storia ha condannato senza appello.

Share.
Exit mobile version