L’esaltazione mitologica forse ha celato un sentimento avvolgente

di Adriano Marinensi

Scrive Omero all’inizio dell’Iliade: “Cantami, o diva, del pelide Achille (noi, a scuola, lo chiamavamo peloso), l’ira funesta che infiniti addusse (procurò) lutti agli Achei”. Achille è il personaggio che entra per primo nel ritmo solenne dell’epica legata all’assedio di Troia. Poi ci saranno Ettore e Andromaca, Patroclo, Paride ed Elena, Agamennone e Menelao, Priamo ed Ecuba, Ulisse ed Enea, quest’ultimo futuro protagonista dell’Eneide di Virgilio.

Perché Achille s’era adirato? Ce l’aveva con Agamennone che gli aveva sottratto la schiava Briseide, suo premio al valore. Non perche la fanciulla gli fosse particolarmente cara, ma per lo smacco subito. Smise quindi di combattere e i troiani presero il sopravvento. Si legge nei libri di mitologia: “Achille, sdegnato di questo procedere, rifiutò di prendere più oltre parte alla guerra”. E’ ritratto nel racconto similmente a un bronzo di Riace, prototipo di possanza e di virilità, in ogni parte anatomica esposta. Fisico adeguato per menar di brando.

Lui, nel confronto armato, si giovava di una dote procuratagli dalla madre Teti, la più bella delle Nereidi, ninfe dei mari, discendenti da Oceano. Che lo aveva messo al mondo insieme a Peleo, re dei Mirmidoni. Appena nato, Teti lo prese per il tallone destro e lo immerse nel fiume Stige, così da renderlo pressoché invulnerabile. Il centauro Chirone lo addestrò, fin da piccolo, alla battaglia. Così, messo in mezzo all’Iliade, Achille trova il suo campo d’azione proprio nell’assedio della fortezza troiana, situata pressappoco nell’odierna Turchia. Insomma, è il maschio per antonomasia e per ciascun avversario, un satanasso. C’è pure un destino segnato per Achille: morirà giovane ed entrerà nella gloria o invecchierà nell’oblio? Il fato scelse l’immortalità.

Qualcuno è andato a sfruculiare nella sua vita privata e vi ha trovato molti nemici, ma anche qualche amico per la pelle. Ad esempio, Patroclo. Per conoscere meglio costui, vedi il quadro dipinto da Louis Davìd che lo ritrae mellifluamente nudo, di spalle; oppure si può visitare a Firenze Piazza della Signoria, dove si ammira la statua di Menelao che sorregge il corpo morto di Patroclo, di nuovo nudo e con, alla vista, un modesto strumento riproduttivo. E’ stato compagno di giochi giovanili di Achille e insieme sono andati a combattere a Troia. Furono i tempi durante i quali già si faceva la raccolta differenziata dell’olio sfritto, per buttarlo bollente sulla testa dei nemici che tentavano di scavalcare le mura dei castelli, arrampicandosi su per le scale a pioli.

Tutto ebbe inizio quando Paride, figlio di Anchise re di Troia, rapì la bella Elena, moglie di Menelao e cognata di Agamennone, figli di Atreo, re di Micene. Per inciso va detto che Anchise aveva altri epigoni abbastanza noti: Creusa, diventata sposa di Enea, Cassandra, l’inascoltata profetessa di sventura, il giovanissimo Troilo, finito tra le vittime del Pelide. Dunque, si imbizzarrì moltissimo il coniuge cornificato e i due Atridi organizzarono una spedizione punitiva contro Paride e la sua città fortificata. Dieci anni durò il conflitto che Virgilio, nell’Eneide (non Omero nell’Iliade), fa terminare con l’escamotage del cavallo di legno, concepito dall’astuzia di Ulisse e dall’abilità di Epeo. Ce l’hanno insegnato alle medie: i Troiani lo trovarono sulla spiaggia, mentre i Greci finsero di cessare l’assedio. Gli ingenui sudditi di Anchise dissero, che bello questo cavallone! E se lo portarono dentro le mura. Parve un monumento da dedicare agli dei, invece aveva nella pancia un gruppo di soldati i quali, nottetempo, aprirono le porte di Troia e fecero entrare i devastatori.

In quell’orrendo campo di battaglia, Patroclo incontrò la spada di Ettore, altro figlio di Anchise, che lo trafisse. Figurarsi Achille! Una furia scatenata in un mare di singhiozzi, di grida esasperate. Quasi una vedova inconsolabile. Allora, ecco la domanda (posta dai linguacciuti): se l’era presa con Agamennone per il “furto” di Briseide e, per una donna si può capire . Perché tutto quel diluvio di dolore per un uomo, seppure gli fosse grande amico? L’afflizione può essere profonda, però composta. Era la loro soltanto amicizia fraterna oppure qualcosa in più? C’è il dipinto che ritrae Achille sdraiato sul morto Patroclo, quasi a mostrare la “carnalità” del sentimento.

E, sempre i maldicenti, hanno fornito un altro indizio: le ceneri dei due mischiate in un’urna sola. Citano pure le parole di Teti quando esorta il figlio a dimenticare Patroclo e prendere moglie – lei aggiunge – “come è giusto che sia”. Inoltre, altro indizio, la furibonda sete di vendetta contro Ettore, da Achille ammazzato con il massimo della violenza, quindi il cadavere trascinato intorno alle mura di Troia. Nel film “Alexander” del regista Oliver Stone, una scena affronta il rapporto Achille – Patroclo, presentandolo come amicizia particolare. Siccome, numerosi indizi fanno una prova e più di un sintomo, una malattia, il legame è parso un passo più avanti della comune “affettuosità”. Al limite del “vizietto”.

Alla fine, nell’elenco dei morti in guerra (a Roma, “li mortanguerieri) è finito pure Achille. Omero mise nell’arco di Paride una freccia che il dio Apollo fece finire dritta, dritta nel tallone vulnerabile del semidio e lo mandò all’Olimpo. In quel di Troia, nel primo dopoguerra – probabilmente esistito, al pari della guerra, nelle fantasie mitologiche – ci fu una disputa per il possesso delle armi di Achille. Le voleva Odisseo (Ulisse l’itacense), come medaglia per la sua sagacia; le pretendeva Aiace Telamonio, principe di Salamina, che si vantava d’essere il migliore dopo il Pelide. Quasi un oggetto di venerazione, quella corazza. Venne premiata la furbizia del futuro protagonista dell’Odissea. Nel giudizio dei pettegoli, è rimasto in piedi il dubbio atroce: i supereroi Achille e Patroclo erano sex simbol oppure?

Finale semiserio. A parer mio si tratta di un novellare apocrifo e calunnioso, da parte dei tacciatori. Da comari al lavatoio (ciarlarono, in ugual senso, pure di Rodolfo Valentino). Accettarlo significherebbe tradire la storia e il fascino fantastico della mitologia. Condividere la tesi è sconfessare i sentimenti giovanili di ammirazione ed emulazione: il maschio atteggiamento all’ Achille poteva essere utile per favorire il “rimorchio”. Anche un improperio all’epica che di siffatta “tresca” non ha mai parlato, quasi volesse operare una censura omofoba. No, la rappresentazione dei chiacchieroni non è accettabile: non possiamo, non vogliamo, non dobbiamo. Poi, pensandoci bene, in un mondo che certi pregiudizi li ha ampiamente superati, parlare di questi argomenti rischia di apparire semplice narcisismo giornalistico. Quindi, tutto quanto sopra scritto va cancellato.

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