Quando la musica racconta la politica

Era già successo qualche anno fa, quando Michael Nyman, con la sua band, raccontò in musica di guasti e nefandezza della Grande Guerra, con proiezioni di filmati che mostravano i traumi duraturi che le bombe aveva fatto su migliaia di giovani europei. Ieri sera, al san Domenico un lieto fine, una rivoluzione attuata senza spargimenti di sangue che abbatteva la più duratura dittatura europea.

Tutto a pochi passi da noi, nel Portogallo esotico e remoto. In molti seguimmo in televisione questo moto di popolo sorretto dalle donne, e in qualche modo da loro stesse provocato. L’attrice Iaia Forte e la cantante Cristina Renzetti, su un palco continuamente attraversato da disegni e immagini si è svolta la saga della liberazione della donna realizzata in un paese culturalmente soffocato nelle sue espressioni culturali e ignaro del rispetto della donna, quello che oggi si chiamerebbe parità di genere.

In un adattamento teatrale di Lucia La gatta, bruciante nella sua concretezza e efficace nella sua comprensibilità si è narrata una storia che il mondo conosceva, quella della ribellione messa concretamente in atto da tre intellettuali portoghesi, Maria Isabel Barreno, Maria Teresa Horta e Maria Velho da Costa che pubblicarono nel loro paese una nuova versione delle già compromettenti “Lettres de la religieuse portugaise”. Non si trattava di un pamphlet di Montesquieu, ma della riproduzione moderna delle note “Cartas portuguesas”, un testo anonimo del Seicento in cui una monaca forzata alla reclusione fin da bambina, manifestava il suo desiderio di vita, di affermazione e di libertà.

La raccolta è stata attribuitaaa una moanca, Mariana Alcoforado, anche se la reale stesura è opera di un nobile di provincia francese, il conte di Gueillages. Nel 1669 l’epistolario fu edito a Parigi da Barbin e si estese negli ambienti Enciclopedisti europei: se ne interessarono Madame de Sévigné, Jean Racin e Boileau.

Ancora all’inizio del secolo le commentava Rilke , sedotto da uno stile retorico che sembrava discendere dalle “Heroides” di Ovidio. Insomma qualcosa di molto colto, ma da maneggiare con cura all’interno della cultura cattolica. Sorprendentemente, in piena coincidenza con quanto le tre donne cominciava a mettere in atto, da noi un musicista fiorentino da sempre impegnato sul versante della poetica civile, il fiorentino Valentino Bucchi scrisse una pagina per voce sola destinandola alla funambolica timbrica di Liliana Poli. Era appunto il 1972 e la riflessione musicale di Bucchi non era un caso isolato nella produzione di un musicista che aveva scritto i monumentali “Cori della pietà morta”, su testo di Franco Fortini e avrebbe nesso in musica il “Colloquio corale” di Aldo Capitini. Ieri sera la versione del complesso Sonora Corda era stata stesa dal violinista Valentino Corvino che spesso, nel concerto del concerto, ha anche impugnato un liuto.

Accanto a lui un bandoneon di Gianni Iorio e due archi suonati da Mario Strinati e Pietro Agosti, che si alternavano a chitarre, violoncello e contrabbasso, una piattaforma sonora molto efficace, evocativa di tristezze e di desiderio con la bella voce di Cristina, amplificata in maniera misurata e non invasiva. Una pioggia di applausi incideva sia la musica che la recitazione dei testi. Mentre il pezzo di Bucchi seguiva il suo percorso concertistico, ma era certamente ignoto alle tre protagoniste della personale rivoluzione, le cosidetteTre Marie, subirono un processo a loro carico che dal 1973 fu seguito dalle televisioni di mezzo mondo. Intellettuali come le De Beauvois, Dora Lessing, Marguerite Duras scesero in campo, Times e Nouvel Observateur cominciarono a far fioccare articoli e dichiarazioni. Nel ’75 la rivoluzione dei Garofani pose fine alla vicenda: Tre Marie scagionate, pubblicazione sdoganata, donne portoghesi finalmente avviate sulla strada della emancipazione e della libertà. Incredibile che tutto questo sia avvenuto in tempi così recenti, ma sappiamo in quante parti del mondo la donna è relegata ancora a condizioni da età della pietra. L’ applauso del pubblico, prolungato e partecipe ha premito la scelta di fare del Portogallo non solo una vetrina di musica, ma anche il laboratorio di quanto la antica civiltà lusitana ha realizzato a casa propria e al di là dell’Oceano, nella estensione di una riflessione sulla negritudine, alla ricerca di una sua identità. As tres Maria, Ayom e Caminho, tre momenti di un festival dove la nazione non è un confine, ma è estensione di libertà.
La presenza tra il pubblico di Salvatore Sciarrino, a vario modo educatore e maestro di alcuni dei giovani musicisti ha conferito all’appuntamento il sigillo di una autorevolezza indiscussa. Fa bene sapere che in città in pieno centro storico un musicista così importante, una figura miliare nella musica del nuovo millennio, abbia scelto la città del “buon governo musicale” per vivere e riflettere.
Stefano Ragni

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