Singolari riflessioni sulla musica del Bel Paese

Nel contesto del ciclo di conferenze “La parola musicale. La lingua italiana e la musica” un singolare ospite olandese Leo van der Staak ha parlato di un musicista tedesco molto citato, per quanto poco eseguito, Ludwig Spohr. Compositore, insigne, violinista e creatore della moderna direzione d’orchestra, Spohr operò alla corte di Kassel e a Vienna, dove frequentò Beethoven. La sua fama di violinista, paragonabile a quella di Paganini, lo portò a operare in vaste aree dell’Europa centrale, che apprezzò i suoi concerti solistici e una svariata produzione di opere teatrali oggi dimenticate. Autore di una monumentale autobiografia Spohr è importante anche per la pubblicazione di una sua scuola per violino nella quale raccolse il frutto delle sue esperienze. Tutti sanno che a lui si deve l’adozione della mentoniera, cosa che agevolò non poco incremento del virtuosismo. La Autobiografia, edita nel 1860, è per noi un reperto molto importante per riflettere sulle esperienze, le conoscenze e le opinioni di un uomo che ha attraversato tutta la metà del secolo romantico. Viaggi, città, personaggi e musicisti si presentano nelle oltre settecento pagine del testo nella ricchezza della loro immediatezza, compreso il Beethoven di cui Spohr, tuttavia, non apprezzava la Nona Sinfonia.

Per la sua lezione alla Stranieri van der Staak, che in Olanda esercitava la professione di dirigente sanitario di altissimo livello, ha voluto anche confermare il suo amore per la nostra regione, nella quale abita stabilmente da diciotto anni. residente sulle colline marscianesi Inoltre è un abituale socio degli Amici della Musica. sua moglie, l’architetto Vera Wittemberg, nativa di Giava, è consigliere della associazione. In un italiano fluido, sciolto e perfettamente pronunciato van der Staak ha scelto per gli ascoltatori la esposizione di alcune pagine che Spohr dedicava al suo viaggio in Italia compiuto nel 1817. Età della restaurazione, con gli austriaci padroni della penisola, Paganini svettante in tutta Europa, Beethoven in evoluzione, e Rossini signore del continente, celebrato come il Napoleone della musica. Ma su questo Spohr non era proprio consensiente e nelle pagine che raccontano del suo viaggio a Napoli, le riflessioni sulla produzione del pesarese sono acide taglienti. E pensare che al san Carlo il Rossini napoletano produceva il fior fiore della drammaturgia da Mose, a Otello, Armida e Donna del lago. Il malumore, come ricorda l’ospite olandese, si scaricava parimenti su tutte le istituzioni partenopee, a cominciare dal Conservatorio , malamente retto dal famigerato Zingarelli, alle orchestre, rozze e stonate, ai colleghi violinisti, comprese le donne-virtuose, viste come qualcosa di abominevole. Il rapporto con l’impresario Barbaja, il creatore del Rossini serio, è improntato alla più palese furfantaggine: duecento ducati per l’affitto del ridotto del san Carlo è una cifra enorme. Pure Spohr la spunta sul prezzo e suona davanti al pubblico napoletano con un incredibile successo. Solo il violinista Festa si salva suo umore nero e viene trattato come un onorevole collega. Non sfiorato dalla grazia della musica, Spohr si produce in belle pagine descrittive di alcune felici escursioni come quella all’eremo di Camaldoli in compagnia della figlioletta. Ma per quanto riguarda il popolo cittadino, sporcizia, pidocchi e lazzaroni sono il desolante quadro di una civiltà abbandonata dal più vergognoso squallore.

Non era andato meglio alla città Eterna, raggiunga dopo il viaggio sulla via Cassa, da Radicofani: pezzi di braccia e teste tagliate attaccate agli alberi testimoniano la ferocia della repressione pontificia contro i crimini di una popolazione sempre affamata e capace di ogni crudeltà. In Vaticano eceo la dolenti note per la Cappella Sistina che, per un convito luterano, è luogo abominevole di superstizione. Non si salva il coro, incapace di cantare a cappella e sempre impreciso nell’intonazione. Anche il famoso Miserere di Allegri, che tanto entusiasmò Mozart e rese Liszt autore di una onirica evocazione pianistica, non merita la minima attenzione. I castrati, poi, sono un palese indice di inciviltà, e ridicole oltremodo le cerimonie della Settimana Santa, compreso il servile bacio della pantofola del Pontefice.

Mentre van der Staak, simpaticamente assicura il pubblico di essere solo un testimone e di non condividere le parole di deprecazione di Spohr, non si può non ricordare che il coro di rammarichi è ricco di voci, da quella di Mendelssohn alla coeva di Berlioz: non c’era più l’incanto della musica del Settecento tanto esaltata da Goethe nel suo lungo viaggio nel Bel Paese. Era mutata la sensibilità e il secolo romantico si prendeva le sue libertà nell’accumunare stato della popolazione e musica nello stesso livello di deprecazione. Certo da qualche parte Bellini e Donizetti facevano trionfare la nostra musica e la nostra cultura operando a Parigi e Vienna. Poi ci avrebbe pensato Verdi e pareggiare le cose. Ma per ora, grazie alla relazione di van der Staak che ha tradotto dal tedesco il viaggio di Spohr abbiamo potuto conoscere aspetti veramente inediti di una Italia da non dimenticare.
S.R.

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