Negli anni Sessanta per un giovane perugino possedere una Vespa voleva dire poter invitare una studentessa svedese di Palazzo Gallenga a fare una passeggiata sulle rive del Trasimeno. Ci sono ancora oggi molti vecchi signori, magari coi capelli tinti di un’improbabile rosso-amaranto che sospirano al ricordo. Non sarà un caso che attualmente esista nel territorio perugino un club di signore svedesi (Svenska Klubben) felicemente sposate con umbri, con tanto di figli e nipoti al seguito. Le coppie censite in Umbria sono quasi cinquanta, su una media italiana di oltre settecento svedesi residenti nel paese. Il che per uno stato che non raggiunge i nove milioni di abitanti è una componente di un certo rilievo.
Aggiungete a questo il fatto che l’Associazione dei compositori svedesi (Föreiningen Svenska Tonsättare) si è comprata anni fa una residenza nel centro storico di Cortona al puro scopo di ospitarvi, ogni quindici giorni, un musicista con la sola finalità di rendere più vivace la sua ispirazione, e capirete come il Bel Paese sia ancora una meta culturalmente attrattiva per i biondi sudditi della corona svedese.
Carin Bartosch Edström si inserisce in questo circuito virtuoso che parte dei viaggiatori del Grand Tour e ha come personaggi paradigmatici la regina Cristina, che in Italia ci rimase, e il re Gustavo Terzo, che a Roma spese tanti soldi per dotare il suo palazzo reale di Stoccolma di una nutrita galleria di busti e statue romane antiche. Per chi ama il cinema la indimenticabile Anita Ekberg che si immergeva nella Fontana di Trevi davanti agli occhi estasiati di Marcello Mastroianni è ancora oggi paradigma di bellezza scandinava. Per rimanere nel mondo della celluloide, la Sagra Musicale Umbra, negli anni ’60, promuoveva una retrospettiva dei film di Ingmar Bergman, allora considerati tra le cose migliori della cinematografia europea. Poi ce li andammo tutti a vedere, questi problematici film, al mitico e indimenticato Modernissimo. E non sarà un caso, ma è certamente una coincidenza che una delle figlie di Bergman risieda stabilmente a Perugia.
Carin Bartosch, compositrice di rilievo, dopo il soggiorno cortonese, nella sua visita all’Università per Stranieri di Perugia, dove molte sue connazionali hanno per decenni ornato i banchi di presenze pittoresche, non ha mancato di confermare una prevedibile ammirazione per struttura, architettura, arredamenti e per quel che ha potuto assaporare di didattica e proposte formative.
Quel che è risultato invece straordinario è il suo racconto, o meglio la descrizione della sua vita, gran parte della quale si è consumata a Roma.
Ecco la sua storia:
«Sono una romana in un corpo di vikinga. Dopo essere cresciuta nell’Urbe porto segretamente nel cuore una identità romana. Ora, un mezzo secolo dopo, è come se questa infanzia mi arrivasse sempre più vicino ogni anno. Cos’è mezzo secolo per una città che ne 2000 celebrava il suo secondo millennio e passa? Ho vissuto a Roma negli anni ’70, una capitale caotica, sporca, chiassosa, con gli autobus così affollati e scassati che quasi viaggiavi pendendo fuori della porta. Ma per me Roma è stata sempre bellissima e a guardarla anche oggi, sembra non sia cambiata. Il Colosseo è sempre lì, il Sant’Eustachio col suo ottimo caffè, il bar Frattina con lo stesso gusto di gelato al bacio, il ristorante La Campana che non ha cambiato menù dal 1500. Mio padre, Carl Eric Östenberg era il direttore dell’Istituto Svedese di studi classici e organizzava gli scavi etruschi del re di Svezia, Gustavo VI Adolfo. Ogni domenica facevamo una passeggiata per Villa Borghese, prendevamo un cappuccino in un bar e compravamo all’edicola l’ultimo numero di Asterix, un fumetto che mi è sempre piaciuto, soprattutto per il romanaccio che parlavano i legionari di Cesare. Non capivo che il fumetto era scritto originariamente in francese, perché io mi sentivo romana. Anche quando con le girl scout prima di andare in gita si seguiva la messa della domenica e una mia compagna dm tirava gentilmente dalla fila per farmi fare la comunione perché non aveva neanche capito che non ero cattolica.
O quando mio padre, archeologo, mi offriva un gelato ogni volta che individuavo, nelle mura romane un “opus reticulatum”, o mi chiedeva di contare di nuovo i sette re di Roma. Abbondanti gli “opera reticulata” e quindi abbondanza di gelati.
Le romane si tenevano sempre snelle e magre, mentre io costruivo il mio corpo da vikinga con il gelato, la pasta, la pizza e l’allenamento al tiro col giavellotto.
In quel tempo in città c’erano molte sale cinematografiche e con mio fratello Per andavamo alla sala parrocchiale Belle Arti dove, con cinquanta lire, ti vedevi vecchie pellicole anni ’50 come “Ben Hur” o “I cavalieri della Tavola rotonda”. C’erano i sedili di legno e, durante l’intervallo, il venditore in divisa coi bottoni dorati ti portava con la cassetta sulla pancia i cremini, le patatine e i “poppi corni”. È da lungo tempo, adesso, che vivo a Stoccolma con mio marito Gabriel e i miei figli Salomon e Isabella. Ho due cani collie. Sono compositrice di musica accademica ma lavoro anche come traduttrice in varie lingue, italiano compreso. Quando vivevo a Roma studiavo il pianoforte insieme ai figli di Aldo Clementi, che allora era un compositore di grande rinomanza. A quel tempo non capivo la sua musica, che era moto sperimentale, ma lui mi ha insegnato a giocare a scacchi. I suoi figli, Anna e Mario, davano bellissime feste con montagne di dolci, aranciate e, soprattutto, un meraviglioso guardaroba di costumi da carnevale che provavo e cambiavo ogni dieci minuti».
Come spesso succede anche i sogni finiscono, e una caduta di salute del padre costrinse la famiglia a tornare a Stoccolma.
«Per fortuna, continua Carin, una mia sorella era rimasta a Roma per studiare all’Università, e quindi tornavo ogni tanto. Ma quando anche lei ha concluso gli studi ed è tornata in Svezia, non me la sono sentita di ritornare in questa città dove ogni pietra, ogni vicolo, ogni pino era stato un pezzo di me. Poi ho cominciato a rifrequentare la città con la mia famiglia vedendo le bellezze di Roma con gli occhi dei miei bambini. E ho ritrovato la Città Eterna, la mia vecchia Roma, che mi aveva aspettato, che era stata sempre lì ad attendermi. Splendida, eterna, appunto. Era solo questione di mezzo secolo in pi».
Nella sua visita al Gallenga Carin ha a lungo studiato l’affresco di Dottori che orna l’aula magna. Era la Roma del fascismo, ma gli acquedotti e il Colosseo sono quelli intramontabili di Romolo e Remo. E ha aggiunto Perugia al suo carnet di ricordi italiani.
Stefano Ragni