Al Festival Villa Solomei un’opera essenzialmente corale, il Requiem di Mozart, dato il relativo rilievo delle voci soliste. Un grande impegno dunque per il coro Canticum Novum, intorno a cui, negli anni, si è costruito uno dei più bei festival dell’intera regione. Operazione propiziata, a tappe progressive, ma incalzanti, dalla Fondazione Federica e Brunello Cucinelli, con tanto di presenza della prima tra le voci femminili del coro.
Il tutto nel segno della memoria di don Alberto, il pievano che propiziò la nascita del Canticum, e, come ci è dato di ricordare, considerava il cantare insieme una tappa della costruzione della casa del Signore su questa terra.
Ieri sera il teorema ha funzionato ancora una volta. La giornata era delle più propizie e gli alisei estivi sfioravano torre e castello come una carezza un po’ ardente, ma benevola. Pubblico dal respiro grosso, troppe, tante persone che cominciano a stentare a trovare un posticino, fossero anche gli scomodi e caldi gradoni. Per il futuro bisognerà pensare a uno scaglionamento o a una preselezione per evitare la nevrosi dell’affollamento.
Canticum Novum sta diventando una massa imponente di cantori, impensabile per ogni similare formazione a carattere amatoriale: segno di un’attrazione che il borgo dei Cucinelli esercita a livello mediatico anche su chi la musica la fa per puro diletto.
Evidentemente il direttore Fabio Ciofini ha una formula magica per attrarre e per fidelizzare: vediamo tanti volti noti che provengono da altre realtà corali e che qui trovano conveniente un approdo che non è un naufragio, ma lo sbarco in una terra promessa.
Il concerto di ieri sera, come ha ricordato Silvia Paparelli, prima dell’inizio della musica, concerne un capolavoro indiscusso come il Requiem di Mozart, la cui sostanza, a ben vedere, è delle più ambigue che abbiano mai riguardato quello che si definisce ancora uno dei caposaldi del repertorio tradizionale. E poi, confessiamocelo pure, di capolavoro non si tratta, se non per la venerazione che si deve all’autore, oltretutto partecipe solo in misura minore alla sua stesura. Solo pochi dei numeri che si ascoltano superano il livello necessario per parlare di “bellezza”: il resto è sana e robusta amministrazione di un linguaggio consono all’epoca e i modi del sacro.
Restano comunque i pronunciamenti di chi vede riassunte nel Requiem tutte le disposizioni di Mozart al godimento dell’eternità: don Luigi Giussani parlava di “sorgente di pietà per ricostruire l’uomo” e poneva l’accento sulla coesistenza di un Dio “tremendo” che però offre il suo perdono.
Presentandosi al pubblico ancora stregato dalla voce di Ute Lemper Canticum Novum ha invocato i Lari e i Penati della sua consolidata formazione, accresciuta da un’esecuzione di pochi giorni fa alla Basilica dell’Aracoeli di Roma.
L’ascolto era reso agibile da una amplificazione che ha fatto del suo meglio per piazzare microfoni idonei, ma c’è da dire che il risultato non è stato proprio dei migliori.
Quel che abbiamo recepito era comunque soddisfacente, anche perché il sostegno strumentale era affidato all’Orchestra da Camera di Perugia che attualmente naviga col vento in poppa. Ciofini sa dirigere con estrema efficacia e indirizza alle voci del coro segnali di estrema efficacia, come abbiamo percepito nei respiri del Lacrymosa o nella serrata scansione contrappuntistica del Sanctus. I solisti erano dei migliori, da Lucia Casagrande Raffi e Elisabetta Pallucchi, da Davide Sotgiu a Ferruccio Finetti.
All’inizio della serata Canticum Novum si era raccolto nella commovente riproduzione del mottetto Ave Verum. Un momento di assoluta interiorità destinato a disperdersi nella vastità dell’arena, ma d’altra parte l’estate è questa.
Stefano Ragni