di AMAR – Volendo parlare di alcuni accadimenti che la storia ha collocato nel mese di maggio, cinque ne ho raccolti: la nascita di Giovanni Guareschi, di Aleksandrovic Bakunin, di Dante Alighieri, la catastrofe del “grande Torino”, la morte di Napoleone Bonaparte (“Ei fu. Punto! – precisava il mio insegnante di italiano – Siccome immobile, dato il mortal sospiro, stette la spoglia immemore …” Alex Manzoni, il resto diglielo tu). Avvenimenti diversi per la loro incidenza, però dal profilo interessante ai fini del richiamo alla conoscenza.
Giovannino Guareschi, con quella bizzarra narrazione, ha influenzato il cinema, dettando la trama di alcuni film ancora presenti nell’ascolto televisivo. Oggi, la comicità di Gino Cervi e Fernandel appare un po’ datata, pur se fedele interprete di un mondo e di un’epoca carica di fermenti sociali e di contrapposizioni ideologiche. Il tutto miniaturizzato nella vita del borgo, nelle disparità tra il piccolo mondo antico del Parroco ruspante e campagnolo e il Sindaco di grana grossa.
C’è il rosso ortodosso del compagno Peppone contrapposto al nero della tonaca di don Camillo, in una comunità ancora alle prese con la condizione contadina e quasi arcaica del dopoguerra emiliano, nel minuscolo centro di Brescello, diventato, per antonomasia, la Parrocchia di don Camillo e il Comune di Peppone. E c’è – nelle 5 pellicole – il rispetto per il narrare semplice ed efficace di Guareschi, nella caratterizzazione dei protagonisti. Lo scrittore era monarchico e cattolico, quindi molto più don Camillo che Peppone, ma i convincimenti politici non influirono sul confronto romanzato tra i due rivali. E’ rimasta ben nota la sua vignetta raffigurante il comunista trinariciuto: Guareschi sosteneva che “la terza narice serve per tenere sgombro il cervello dalla materia grigia e permettere l’accesso delle direttive di partito che debbono sostituire il cervello”.
Aleksandrovic Bakunin – nato il 18 maggio 1814 – non è affatto una comparsa del XIX secolo: filosofo e rivoluzionario russo, viene considerato cofondatore del movimento anarchico moderno. Scrisse di se stesso: “Sono un amante fanatico della libertà, la considero l’unica condizione nella quale l’intelligenza, la dignità e la felicità umana possono svilupparsi e crescere”. E forse per spiegare a quale modello si ispirava il suo credo, aggiunse: “Non la libertà regolata dallo Stato, l’eterno inganno che rappresenta soltanto il privilegio di alcuni fondato sulla schiavitù degli altri”. Sostenne un vivace scontro con Karl Marx che invece affermava il primato dell’azione politica all’interno dell’organizzazione proletaria. Evidentemente ebbe qualche ammiratore anche a Terni: nel 1898, un neonato fu iscritto all’anagrafe con il nome di Baconin Borzacchini. Da grande, per esigenze di regime ed omaggio ai Savoia, mutò il reazionario Baconin in Mario Umberto. E divenne un forte corridore automobilista, vincitore, tra l’altro, della competizione motoristica di maggior prestigio ai suoi tempi, la Mille Miglia. E’ morto in gara, a Monza, nel 1933.
Quest’anno ricorre il duecentenario della morte di Napoleone Bonaparte, l’accanito cercatore di gloria che, tra una battaglia e l’altra, andava imprimendo ovunque, per alterigia, la N maiuscola. C’è un’isola piccola, piccola in mezzo all’Atlantico, lontana quasi 2000 chilometri dal più vicino approdo. Si chiama Sant’Elena, in onore della omonima santa di Costantinopoli. C’è sull’isola una tomba con sopra scritto: “Qui riposa” e nient’altro. Perché il mondo e la storia sanno che in quel sacello – quando morì, il 5 maggio 1821 – venne sepolto Napoleone. Ora è vuota: il corpo lo hanno traslato (1840) nel Cimitero degli Invalidi, a Parigi.
Dice Manzoni: Cadde, risorse e giacque. Dall’Elba, riprese il potere e lo sconfissero a Waterloo (1815). Per portarlo in esilio nell’atollo sperduto, la nave impiegò oltre 70 giorni. Intorno alla figura del Bonaparte si continua ancora oggi a discutere in quanto esistono due correnti di pensiero: una che celebra le sue imprese e l’altra che le avversa. Forse, la sintesi di giudizio potrebbe trovarsi nella risposta a questo interrogativo: Se Giulio Cesare, Bonaparte, i dittatori del XX secolo ed altri guerrafondai d’ogni tempo non fossero mai nati, il mondo sarebbe migliore? Oppure chiedersi se l’Europa guerraiola, costruita da Napoleone, fosse politicamente e umanamente migliore di quella da 70 anni pacifica dell’epoca attuale.
C’è una pagina listata a lutto nel libro del calcio italiano. Racconta la Tragedia di Superga, accaduta il 4 maggio 1949, quando l’aereo che riportava a casa dalla Spagna il Grande Torino, si schiantò contro il muraglione della Basilica. A bordo 31 persone, nessun superstite. Scomparve in un baleno la compagine che aveva dominato il Campionato nazionale dal dopoguerra in avanti, con questa formazione tipo: Bacigalupo, Ballarin, Maroso, Grezar, Rigamonti, Castigliano, Menti, Loik, Gabetto, Valentino Mazzola e Ossola. Si chiamava Torino calcio, ma anche Nazionale azzurra, per lo più con due varianti: gli juventini Sentimenti IV e Parola. Su quel maledetto aeroplano viaggiavano anche altri 7 granata, 9 tra dirigenti, allenatori e giornalisti, 4 membri di equipaggio. La Settimana Incom documentò l’accaduto: “Un crepuscolo durato tutto il giorno, una malinconia da morire. Il cielo si spandeva in nebbia e la nebbia aveva cancellato Superga.” Venne infatti attribuita alla nebbia la causa della catastrofe.
Mi è rimasto il richiamo al sommo vate Dante Alighieri, ma la mia modestissima penna si rifiuta di scrivere. Soltanto che è nato a Firenze nel maggio 1265 (battezzato Durante di Alighiero degli Alighieri) e morto esule a Ravenna nel 1321. Posso solo aggiungere che ha realizzato uno dei capolavori della letteratura mondiale: la Commedia Divina. E come altro si poteva chiamare?
Perdonatemi la prima digressione, perché credo meritino almeno un cenno cronologico due vili attentati compiuti in Italia, entrambi nel mese di maggio. Il primo, di stampo mafioso, contro il giudice Giovanni Falcone, a Capaci, il 23 del 1992 (5 morti e 23 feriti); l’altro, di matrice neofascista, il 28 del 1974, in Piazza della Loggia, a Brescia (8 morti e 142 feriti).
Considerato quante volte ho scritto sul tema inquinamento a Terni, eccolo un altro “fuori sacco”, colto, fresco, fresco, dalla cronaca quotidiana. Si può sintetizzare in un proverbio: Tanto tuonò che piovve! Tradotto in un titolo, suona così: Multa dell’Europa per lo smog di Terni. Siamo andati nella Serie B del pallone, ma rimasti nella “pessima serie” per quanto riguarda gli sforamenti delle polveri sottili presenti nell’aria che respiriamo. E, per colpa di Terni, l’Umbria verde è finita nella procedura di infrazione comminata all’Italia, dalla U.E. Dopo le infiltrazioni malavitose negli affari locali, denunciate a metà maggio scorso, ci mancava soltanto la ciliegina sulla torta.