Di Adriano Marinensi – Ufficialmente, in Europa, la seconda guerra mondiale è finita l’8 maggio 1945, quando il generale tedesco Alfred Jodl, autorizzato dall’ammiraglio Karl Doenitz, ha firmato la resa senza condizioni del Terzo Reich. Il conflitto iniziato il 1 settembre 1939 con l’invasione nazista della Polonia e durato 5 anni e 8 mesi, di fatto, s’era concluso qualche giorno prima con la morte dei principali attori della grande tragedia: Adolf Hitler e Benito Mussolini.
Altri due protagonisti sono vissuti alcuni anni ancora: Stalin è morto il 5 marzo 1953 (1 marzo?) e Churchill il 24 gennaio 1965. Dell’inglese si tessono ancora le lodi; del russo abbiamo conosciuto i crimini (“Rapporto Kruscev”) durante il XX Congresso del PCUS (25 febbraio 1956). Ad onor del vero, quell’8 maggio era finita, in Europa, la “guerra dei 30 anni” del XX secolo, iniziata nel 1914: due conflitti, con milioni di morti e immani distruzioni; in mezzo la Rivoluzione russa, la guerra civile spagnola, le imprese coloniali. Poi, i Trattati di Roma (25 marzo 1957), nati dal genio politico di De Gasperi, Adenauer, Schuman e Spaak, dettero avvio a quasi 70 anni di pace, di democrazia e di sviluppo nel nostro Continente.
Il precedente mese di aprile del 1945 fu fatale per Mussolini e Hitler e per altri protagonisti di assoluto rilievo. Il 12 di quel mese, colpito da un malore assassino, scomparve F. D. Roosevelt, 32° Presidente degli Stati Uniti. Si era assunto l’arduo compito di fronteggiare la dichiarazione di guerra di Hitler (11 dicembre 1941). Poi, il terribile scontro con il Giappone all’indomani dell’attacco nipponico alla base navale di Pearl Harbour (12 dicembre 1941) che causò una ecatombe di uomini e di navi. Non riuscì a vedere la fine delle ostilità nel Pacifico e spettò al successore Harry Truman costringere l’Imperatore Hirohito – con le atomiche di Hiroshima (6 agosto 1945) e Nagasaki tre giorni dopo – a cessare i combattimenti in Estremo oriente.
Roosevelt è stato eletto Presidente per quattro volte ed è rimasto in carica dal 1933 sino al giorno della morte. Fu promotore del New Deal (1933 e 1935) per risollevare l’economia dopo la “grande depressione” esplosa all’improvviso il 24 ottobre 1929 (il “giovedì nero”). Una curiosità colta nella sua biografia, lo ricorda come il primo Presidente americano che – nel corso del mandato – ha viaggiato in aereo, per andare ad incontrare Winston Churchill. Il suo ultimo atto di politica internazionale fu la partecipazione, insieme a Stalin e Churchill, alla Conferenza di Yalta (4 – 11 febbraio 1945), dove vennero gettate le basi del nuovo ordine geo – politico dell’Europa.
In Italia, il 27 aprile, c’è un’autocolonna carica di nazisti in ritirata che, da Milano, sta andando verso il Brennero. La fermano per un controllo i partigiani a Dongo, sul Lago di Como. Il lasciapassare riguarda soltanto i militari tedeschi. Invece, sopra alcuni camion vengono scoperti una quindicina di ex gerarchi italiani. E addirittura, con indosso l’uniforme della Wermach, Benito Mussolini insieme alla sua amante Claretta Petacci. Al seguito dei fascisti in fuga, ci sono anche numerose valigie con dentro un tesoro. Diventerà famoso come “l’oro di Dongo”, misteriosamente (mica tanto!) dissoltosi nei meandri della convulsa vicenda. E’ stato stimato in circa 8 miliardi di lire dell’epoca, comprese – si disse – molte delle fedi che le donne italiane avevano donato alla Patria, durante la campagna d’Etiopia.
Con una sommaria decisione che manco al tempo delle invasioni barbariche, prima, il 27 aprile, i gerarchi, il giorno dopo Mussolini che ha 63 anni e la Petacci 30, sono fucilati sul posto. A seguire, le immagini documentano la macabra esposizione dei corpi, appesi al distributore di benzina di Piazzale Loreto a Milano. L’ingente tesoro è inventariato ad opera di due partigiani, Luigi Canali (“Neri”) e Giuseppina Tuissi (“Gianna”), entrambi, poco dopo, accusati di collaborazionismo ed eliminati dalla “polizia del popolo”, insieme ad altri testimoni scomodi. Forse, sulla scomparsa dell’ingente bottino ne sapevano troppe. Comunque, fu in queste circostanze, per taluni versi nebulose, per altri vituperevoli, che finì il “ventennio dell’era fascista”.
Sono passati soltanto tre giorni dalla drammatica uccisione del duce e in un rifugio blindato (il fuhrerbunker), sotto le macerie della Cancelleria del Terzo Reich, a Berlino, si consuma un altro degli atti conclusivi del devastante conflitto in Europa. C’è, li sotto, ormai non più in preda alle sue deliranti prospettive di vittoria, Adolf Hitler. Con lui gli ultimi fedelissimi. E’ la notte tra il 30 aprile e il 1° maggio. Le avanguardie dell’Armata rossa del generale Georgij Zhukov stanno eliminando le estreme resistenze opposte persino dai bambini – soldato, arruolati dalla follia nazista. Lungo le strade squinternate di Berlino corre il terrore perché quelli provenienti dalla steppa hanno fama d’essere micidiali stupratori di frau e fraulein, non necessariamente di pura razza ariana.
Nel sotterraneo si vivono ore di tregenda, essendo ormai preclusa ogni via di fuga. Il Fuhrer assume l’estrema decisione, per lui e per la compagna Eva Braun , che gli è rimasta a fianco come Claretta a Benito. Si sono uniti in matrimonio poche ore prima di morire. E’ il medico personale a suggerire il metodo più rapido e sicuro: una fiala di cianuro seguita da un colpo di pistola. Dopo un fugace e triste saluto di commiato, rivolto a tutti i presenti, i due si ritirano nei loro alloggi e mettono in atto il suicidio. Il rituale prevede la cremazione dei corpi con la benzina e l’ordine viene eseguito qualche minuto dopo dinnanzi all’uscita di sicurezza.
In quel luogo lugubre, fatto di grigio cemento armato, ormai in un clima funereo, c’è anche la famiglia di Joseph Goebbels, il parolaio Ministro della propaganda, soprannominato “il megafono di Hitler”. E’ in carica dal lontano 1933, principale animatore della campagna contro “l’arte degenerata, la scienza ebraica e bolscevica”. Se ne intende di suicidi perché ha già tentato una volta di uccidersi quando la moglie ha scoperto la sua relazione con l’attrice cecoslovacca Lida Baarova. Con la scomparsa del capo, Goebbels ha perso il “riferimento supremo” della vita; quindi ne organizza un altro di suicidio per l’intera famiglia. Con il cianuro fa strage dei sei figli, tutti in tenera età, poi una dose la riserva per se stesso ed la consorte Magda.
Ora anche il dramma infernale del fuhrerbumker è concluso. Il sigillo all’esperienza nazista lo porranno il processo di Norimberga ad altri 21 grandi criminali e il giudizio inappellabile della storia. Per far tornare la pace nel mondo toccò attendere ancora qualche mese ed arrivare alla firma dell’atto di resa incondizionata di tutte le forze armate giapponesi (2 settembre 1945) che scrisse l’ultima pagina nella storia della sanguinosa guerra del Pacifico.