Di Adriano Marinensi – Fossero stati contemporanei tra loro ed anche nati ai tempi nostri, Alessandro Manzoni, i celebri versi de “Il 5 maggio” (1821), in morte del guerriero Bonaparte, sono certo, li avrebbe scritti in gloria di Giovanni Paolo II, il Santo della pace, scomparso la sera del 2 aprile 2005. Ai medici che cercavano di tenerlo in vita, disse: “Lasciatemi tornare alla Casa del Padre”. Smentì il secolare proverbio che afferma “morto un Papa, se ne fa un altro”. Un altro si, ma non come lui. Anche per Karol Wojtyla, “muta, percossa e attonita, la terra al nunzio sta”. Se n’era andato il Pontefice che aveva attraversato da protagonista l’ultima parte del XX secolo. Alla prima apparizione pubblica, appena vestito con l’abito bianco, scusandosi di non conoscere bene l’italiano, fece sorridere la folla: “Se sbaglio, mi corrigerete”. Poi, fu Lui a correggere il mondo. Soltanto alla fine della missione e degli ultimi momenti di malattia, l’uomo venuto da oltrecortina scese dalla Croce dove il suo Dio lo aveva fatto salire, per dimostrare agli uomini che la sofferenza è redenzione.

La fumata bianca per l’Arcivescovo di Cracovia, il 12 ottobre 1978. Lo aveva eletto il Conclave apertosi in morte di Giovanni Paolo I, al secolo Albino Luciani, il Papa del sorriso, che sul Trono di Pietro era rimasto soltanto 33 giorni, dal 26 agosto al 28 settembre 1978; invece il secondo Giovanni Paolo ci rimase 27 anni, lasciando una impronta incancellabile. Energico e autorevole, ha diffuso un messaggio che è andato al di là dei credenti, fermo contributo alla difesa dei valori umani. Fu strenuo difensore degli emarginati, degli invisibili, una vita vissuta con elevata incisività morale e sociale che ha influito sugli equilibri politici dell’intero Pineta. Ascoltato sia dagli umili, sia dai potenti, personalità e fascino sono rimasti intatti sino all’ultimo. Per l’Apostolo della luce divina, le luci del mondo si spensero alle 21,37 di quel 2 di maggio.

Amava la Pace e lo scrisse in un Messaggio, nel 1986: “La Pace è valore che non ha frontiere, corrisponde alle speranze ed alle aspirazioni di tutte le persone”; e quindi “la solidarietà e la collaborazione su scala mondiale, costituiscono imperativi etici … per fare della Pace un imperativo assoluto.” Infine, l’indicazione del “cammino della solidarietà, del dialogo e della fratellanza universale.” Altrimenti, “a soffrire di più è sempre il debole, il povero e chi non ha voce.”

Quando è tornato alla Casa del Padre, tutti si sono sentiti un po’ orfani di un Pastore che, andandosene, provocò un vuoto, spirituale e temporale, percepito da milioni di persone che invocavano per lui la santità. E Santo fu proclamato il 1 maggio 2011. Ebbe un singolare primato: il primo Papa non italiano dopo quasi 4 secoli. Era nato, in Polonia, il 18 maggio 1920. Ricordo la voce, quand’era ancora tonante: “Non abbiate paura. Aprite, anzi spalancate le porte a Cristo, aprite i confini degli Stati, i sistemi economici e politici, i vasti campi di cultura, di civiltà, di sviluppo.” Insomma, un messaggero dell’evangelizzazione salvifica, una vocazione alla bellezza dell’amore, posta al servizio di tutti, per costruire insieme una umanità nel segno della concordia, della tolleranza e della giustizia. Anche la Chiesa – intesa come Istituzione – percepì un senso di smarrimento alla sua morte e la responsabilità di dover ormai camminare sulla strada indicata. La strada dei rinnovamento della fede e nella fede. Nel segno dell’ecumenismo e della teologia della liberazione, fece più di cento viaggi in giro per i Continenti che videro la presenza di folle enormi mai viste prima per un evento religioso. Scrisse Paolo Mieli, il giorno dopo la scomparsa: “Karol Wojtyla adesso passa alla storia che, d’ora in poi, lo annovererà tra le due o tre più grandi figure religiose, politiche, culturali, morali del ‘900.” E lo ha anche definito “l’uomo che ha saldato ogni conto con i due totalitarismi del secolo (nazismo e comunismo, n.d.a), con i quali si era imbattuto nella sua Polonia.” Alla Polonia volle dedicare uno dei primi viaggi apostolici, dal 2 al 10 giugno 1979. Ai governanti del suo Paese rivolse parole di coraggioso ammonimento. Fu per i polacchi una parentesi di libertà e un impulso verso il processo di trasformazione sfociato nel movimento di Solidarnosc, fondato nel settembre 1980. L’effetto più eclatante dell’ “impatto papale” sulle vicende dell’Est europeo si ebbe il 9 novembre 1989, con la caduta del Muro di Berlino che, dal 1961, fungeva da invalicabile cortina di ferro tra oriente e occidente.

Ebbe modo di entrare in sintonia con un “esercito” di giovani che gli espressero vicinanza e partecipazione durante le eccezionali Giornate mondiali della gioventù. A loro si rivolse umilmente una volta così: “Vi ho cercati, siete venuti da me e, per questo vi ringrazio”. Erano i Papaboy, gli innamorati del fascino spirituale e del carisma civile che stavano dentro quel Pastore della speranza. La Chiesa, nei secoli, ha avuto tre Pontefici con il titolo di Magno: Leone, Gregorio e Niccolò. Ora sono quattro. Durante la settimana della sua Passione, volle affacciarsi a salutare i ragazzi milanesi convenuti in S. Pietro. Un saluto che fu soltanto il sospiro strozzato dal peso dei residui aneliti di vita. L’ultima sera, la grande piazza disegnata dal Bernini si gremì di giovani con la chitarra e il sacco a pelo per dormire sui sampietrini, si riempì di cittadini d’ogni provenienza con le candele accese, di persone in preghiera che esprimevano un patimento sincero e condiviso. Migliaia di sguardi rivolti verso le finestre dove il Papa stava morendo. Quando quelle finestre divennero buie, la folla capì e in tanti si abbracciarono e piansero, nell’estremo commiato.

L’odio dissennato di certi profeti della violenza lo colpì, ferendolo gravemente, il 13 maggio 1981, mentre passava tra la gente, indifeso, sopra la Papamobile scoperta. Era, quel giorno, l’anniversario della prima apparizione della Madonna di Fatima ai tre pastorelli, in Portogallo, nel 1917. Forse fu proprio la Madonna a stendere sul Papa la sua mano ed a salvargli la vita. Soltanto qualche mese prima dell’attentato, tutta l’Umbria aveva salutato Giovanni Paolo II. Venne a Terni il 19 marzo, accolto dal Vescovo Bartolomeo Santo Quadri e dal Sindaco Giacomo Porrazzini. Visita all’Acciaieria, pranzo con gli operai e messa solenne allo Stadio Liberati. Una giornata di festa grande e memorabile. Fu anche per me una occasione speciale: facendo parte della rappresentanza del Consiglio comunale, ebbi il privilegio di parlargli e stringergli la mano.

Ho provato, durante gli anni del suo Pontificato, profonda ammirazione per questo eccelso Sacerdote di Cristo che ha scritto, per diretta testimonianza, anche una nobile Enciclica del dolore. Ed ho voluto, con brevi e semplici considerazioni, riproporne il ricordo nel giorno del quattordicesimo anniversario della scomparsa.

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